Le foto utilizzzate in questo post arrivano dalla cartella stampa della mostra e sono di Emanuele Antonio Minerva – Ministero della Cultura
Cosa ci trova la destra in Tolkien? È un tema di cui si è tornati a discutere da quando il Ministero della Cultura del “fu” Gennaro Sangiuliano ha promosso una «grande mostra» su J.R.R. Tolkien, ora alla Reggia di Venaria (visitabile fino al 16 febbraio). L’ho vista e non mi ha particolarmente impressionato. La montagna sembra aver partorito un topolino, dato che parliamo di disegni e acquerelli – interessanti, per carità – abbinati a centinaia di libri e alcuni cimeli, senza dimenticare l’immancabile Pino Insegno (in un video, non lui in una teca), che oramai si cerca di piazzare un po’ dappertutto. Occorre distinguere fra una mostra temporanea e una collezione permanente.
Nel caso della collezione permanente, il museo espone quello che ha – dando certamente una coerenza e suddividendo in sezioni per facilitare la visita, spesso facendo ruotare le opere – e di conseguenza può capitare che di fianco al costume di Gandalf ci sia una traduzione rarissima del Signore degli anelli. Nel caso di una mostra temporanea no, si scelgono un tema, un taglio, un messaggio. La domanda è: cosa vogliamo dire con questa mostra? Che Tolkien è stato un autore di enorme successo? Questo lo sapevamo già. Inoltre, quanto alle traduzioni, parliamo di oltre 50 in tutto il mondo che è notevolissimo, ma a questo punto sarebbe doverosa una mostra su Antonio Gramsci, ancora più tradotto di Tolkien, se questo è il criterio. L’esposizione è gradevole e dobbiamo considerare che nasce l’anno scorso per i cinquant’anni dalla morte dell’autore, ma appare solo come una mera presa d’atto della grandezza di Tolkien. Per essere una delle punte di diamante dell’attività del “fu” Ministro appare un po’ pochino.

Il discorso più ampio va fatto sul piano culturale. Se andiamo a vedere i valori espressi, ritroviamo fratellanza, unione nelle diversità, mondi e soggetti diversi che si parlano, collaborano, fanno cose insieme per un bene superiore e comune. A ben vedere non sono valori di destra né di sinistra, ma universali; tuttavia, la destra italiana non è certo un faro sul tema dell’accettazione delle differenze. Hanno delle ragioni, certo, ma credo che nani e hobbit, nell’Italia di oggi, non se la passerebbero benissimo, per non parlare di Gandalf e della sua erba pipa. Battute a parte, Tolkien è un autore enorme e in quanto tale le sue opere portano moltissimi messaggi. Possiamo fare cherrypicking come ci pare.
Il punto è qui. Nel mondo fantasy cui Tolkien si rifà, l’immaginario comune è quello alto-medievale segnato da superstizioni ed esoterismo. Non è nemmeno una regola, perché più semplicemente il fantasy crea mondi nuovi, mentre la fantascienza invece modifica la realtà attuale. In questo senso, mi permetto di dissentire da quanto detto dal curatore della suddetta mostra su Tolkien, Oronzo Cilli, e cioè che «il fantasy è un viaggio nel tempo, la fantascienza è un viaggio nello spazio». Altrimenti dovremmo assumere che il fantasy ci racconti quello che è veramente successo in un passato di cui abbiamo perso memoria. E credo che una certa parte della destra attuale, sotto sotto, lo pensi. Del resto, Himmler finanziò una spedizione delle SS in Tibet per cercare le origini del popolo ariano e dimostrarne la superiorità, con modalità ed esiti pressoché antiscientifici.
Pensiamo ai draghi. Non sono mai esistiti, ma difficilmente li collocheremmo ai tempi degli antichi romani o del Rinascimento. L’Alto Medioevo è un’età perfetta per ambientare queste storie, dando vita e corpo alle superstizioni. E poi ci servono i castelli, gli assedi, i soldati, i trabucchi, gli arcieri e le palle infuocate. In realtà i legami sono più profondi. La più classica leggenda di San Giorgio e il drago parla di un santo martirizzato nel IV secolo, quindi sono storie antiche, che ripropongono allegorie ancora più antiche. L’animale malvagio, di natura incomprensibile, infernale e dalle forme assimilabili a quelle del rettile, può rimandare al serpente biblico che circuì Eva e fece cadere nel tranello Adamo. Dove il male (serpente/rettile/drago) allontana l’uomo da Dio passando attraverso la donna (passione/debolezza/vizio). Il drago è l’anti-Dio, l’uomo-eroe lo sconfigge e fa trionfare la fede.
Tuttavia, in Tolkien c’è un aspetto di comunione con la natura non indifferente, una questione che riporta alle radici della civiltà, all’umanità che vive nel rispetto dell’ambiente e che da esso trae ciò di cui ha bisogno senza distruggerlo. Una umanità che combatte contro chi, quel mondo, lo vuole invece distruggere (ad esempio Sauron). Una visione nobile, ma il capitalismo promosso dalla destra – e purtroppo abbracciato anche da buona parte della sinistra – fa letteralmente a pugni con il rispetto dell’ambiente e il solo utilizzo delle risorse necessarie per vivere. Infatti, ciò che interessa di Tolkien alla destra sono la simbologia e il successo. La dimensione ecologista sparisce (la locuzione «fondamentalismo ecologico» è stata creata dalla destra e, anche qui, abbracciata da una parte della sinistra), ci resta il mondo di luce attaccato dalle tenebre (e torniamo alla fede, a Dio assediato dai corrotti). I personaggi si appiattiscono, le singole storie di ognuno di loro – in Tolkien espanse, profonde persino per quanto riguarda il drago Smaug, per dire – diventano secondarie rispetto alla dimensione dell’eroe. La sensazione, soprattutto attraversando la mostra di cui sopra, è che non interessi granché scendere in profondità, ma solamente dare un punto di riferimento a qualcuno. Non è una mostra fatta male, ma è più semplicemente un messaggio diretto a chi si riconosce in una determinata simbologia.

In passato qualcuno ha cercato di dirottare i fan di Tolkien verso i valori di destra con scarsissimo successo, per questo penso che quell’intenzione sia scomparsa. Tolkien serve a costruire valori nei quali la destra moderna possa riconoscersi, perché se si dice da sempre che la sinistra sia in crisi, anche la destra non se la passa benissimo. Più in generale, è la società ad attraversare una fortissima crisi di identità, dove a patire di più è certamente chi sull’identità ha costruito il proprio consenso, perché i confini precisi fra noi e gli altri danno sicurezza. La destra ha fatto un passo in avanti e ha capito di dover produrre cultura. Già, ma come? Negli ultimi tempi i cosiddetti intellettuali di destra non hanno fatto che denunciare l’egemonia di sinistra. Quando si ritrovano insieme a discutere passano il tempo a dire che la destra non ha spazio, la destra è soffocata dalla sinistra, gli intellettuali di destra non possono parlare. E dire che la destra governa il Paese, meno male che l’egemonia è della sinistra. La destra italiana sembra non avere ancora trovato contenuti culturali propri, ma appare ferma sulla contrapposizione ai contenuti considerati di sinistra. Così, riprendendo le prime esperienze degli anni ’70 con la folgorazione verso l’immaginario tolkieniano, la destra italiana sta cercando di costruire una propria tradizione culturale. Un qualche cosa che vada oltre i soliti Julius Evola, Ezra Pound e Giovanni Gentile.
Non credo che questa cosa sia uno scandalo, ma credo invece che i contenuti culturali proposti vadano valutati in quanto tali, criticati ed eventualmente smontati. Vuoi produrre cultura? Bene, vediamo cosa proponi. Avere come cavallo di battaglia la lamentela sull’egemonia di sinistra è davvero deludente. La grande mostra su Tolkien non è che una mera presa d’atto della sua grandezza, ci piace questo autore perché ci ricorda la lotta dell’uomo per preservare la sua fede in Dio? La grandezza dell’eroe, l’immaginario esoterico, la simbologia che ci ricorda i bei tempi andati quando l’uomo era grande e padrone del mondo illuminato. Siamo veramente fermi a questa cosa qui?
Il grosso guaio, che la destra ancora non riesce a risolvere, è la distinzione fra contenuti politici e contenuti culturali, che per la destra sono un tutt’uno. Forse lo sono anche per la sinistra, che tuttavia sa anche quanto i contenuti culturali sfuggano alla collocazione politica ed è giusto così. Se politicizziamo la cultura è tutto finito, la cultura è cultura e basta. Però non si può correre il rischio che l’immaginario di fratellanza tolkieniana prenda il sopravvento – nani, elfi, umani e hobbit tutti insieme, letteralmente razze diverse che convivono e che pur tra le loro difficoltà e rivalità trovano un punto d’incontro – perciò se ne parla solo in termini di cameratismo. Si dice che «le battaglie citate da Tolkien fanno riferimento alla Prima guerra mondiale» (lo afferma ancora Oronzo Cilli), cioè il momento in cui i regimi totalitari europei hanno iniziato a costruire il proprio consenso. Voglia di rivalsa nei confronti dei «poteri forti», intenzione di rimettere ordine, di riportare i propri Paesi ai fasti di un tempo.
Ecco perché occorre non sottovalutare questo fenomeno. Se la forza culturale della destra attuale appare ridotta – ed effettivamente, almeno per ora, lo è – ci dobbiamo anche ricordare che non è importante. I valori di destra ci sono e la cultura per come la stanno mostrando appare solo un modo per propagandarli. Restare in superficie, evitare di approfondire i temi, significa escludere dal dibattito la complessità del mondo, aumentando così le possibilità che in tanti possano riconoscersi in determinati valori. Difficilmente si troverà qualcuno che vuole la distruzione della propria nazione, ma riportare il proprio Paese alla grandezza di un tempo, esattamente, che vuol dire? La destra non ce lo spiega (se non indicandoci gli «orchi» cattivi da combattere e basando la propria attività sulla lotta a un presunto nemico ben identificabile) e buona parte della sinistra, forse troppo snob per entrare in certi dibattiti, risolve tutto con un’alzata di spalle. Chissà cosa ne penserebbe Tolkien.
«Un anello per domarli, un anello per trovarli, un anello per ghermirli e nel buio incatenarli»

Un pensiero riguardo “Cosa ci trova la destra in Tolkien? Una lunga riflessione dopo aver visto la mostra a Venaria”