Abbiamo i numeri del Torino Film Festival e voglio aggiungermi alla lunga lista di commentatori. Iniziamo col dire che manca un dato importante: gli incassi. Solitamente queste omissioni non sono positive ma pazienza, attenderemo il bilancio del Museo Nazionale del Cinema.
Passiamo ai numeretti. Il confronto è con il 2023: gli spettatori crescono da 35.000 a 36.700 e il riempimento delle sale passa dal 53% al 70%. Bene? Sì, però. Punto primo: le sale erano di meno (sei anziché nove). Questo significa che il dato di occupazione va preso con le pinze. Sono diminuiti anche i film, passati da circa 200 a 121, ma comunque il pubblico è cresciuto.
Grazie a Carlo Griseri dell’Agenda del Cinema (e di tante altre cose) possiamo osservare la serie storica per capire velocemente che il primo Tff di Giulio Base ha avuto meno spettatori del primo Tff di Steve Della Casa, che arrivò a 37600 paganti nel 2022. Stando ai dati comunicati dal 2010 a oggi, possiamo notare che il picco è stato raggiunto nel 2013 sotto la direzione di Paolo Virzì, con 92 mila spettatori, poi c’è stata una lenta ma inesorabile discesa. Il picco di incassi è del 2016, sotto la direzione di Emanuela Martini: 271.500 euro. La spaccatura colossale fra il prima e il dopo è il Covid, che ha massacrato i cinema italiani. Dal 2021 in poi (nel 2020 il Tff di Stefano Francia di Celle fu solo online) non ci siamo ancora ripresi e forse il pubblico torinese del festival è ora questa roba qui: 40.000 scarsi.
Esattamente come canta Caparezza, «il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista», la prova del nove di Giulio Base sarà il prossimo anno.
Dobbiamo invece considerare gli obiettivi, ma come facciamo a conoscerli? Abbiamo alcune indicazioni. Alla chiusura del Tff, il presidente del Museo del Cinema, Enzo Ghigo, ha detto che «Giulio Base ha seguito le indicazioni del comitato di gestione riducendo il numero dei film e delle sale». Obiettivo raggiunto già prima che il festival iniziasse. Veniamo ora al secondo obiettivo, forse più importante: la visibilità. Ce lo dice il comunicato stampa del Tff: +57,4% di persone raggiunte sui social (oltre 1 milione in totale) e +60% di copertura mediatica.

Per costruire un buon piano di comunicazione si parte dagli obiettivi. Possiamo assumere che le indicazioni del comitato di gestione fossero quelle di ridurre i costi «tecnici» (sale e film) per spostare parte del budget (con qualche cosetta in più) sulla promozione. Ecco, Giulio Base l’ha fatto. Non lo conosco così bene, ma quando ho avuto a che fare con lui ho capito quanta passione metta nel lavoro che fa, perciò non ho motivo di pensare che abbia deciso di snaturare il festival. Ha proposto un progetto in linea con le necessità del Museo del Cinema e l’ha realizzato, perché di Torino e del festival si è parlato parecchio su tv e giornali italiani e internazionali. Non ho però gli strumenti per giudicare la qualità dei film.
Ora il problema è un altro: a che serve il Torino Film Festival? Se serve a dare spazio ai giovani cineasti allora quest’anno non è stato efficace, anzi la scomparsa della sezione dedicata al territorio locale (prima Spazio Torino e poi Piemonte Factory) è stata un brutto segnale. Il concorso è stato pressoché oscurato dagli ospiti, sebbene il pubblico l’abbia seguito. Se il festival serve a promuovere il Museo del Cinema e Torino allora ha assolto al suo scopo, c’è solo da capire se questo patrimonio di visibilità verrà sfruttato, magari costruendo qualcosa durante l’anno.
Personalmente, posso dire che un festival vetrina non mi dispiacerebbe, a patto che si faccia qualcosa grazie al ritorno mediatico, magari offrendo una parte della suddetta vetrina a chi nel territorio ci vive e lavora. Davvero ci serve un festival così? Io dico di sì, ma è una questione di equilibri. Questa città, purtroppo, non vede l’ora di gettarsi tra le braccia di Sharon Stone e pazienza se nessuno vedrà il doc sulla Val di Susa o sulle miniere di Cairo Montenotte. Oppure, in maniera schizofrenica, snobba tutto ciò che può portare visibilità ma si lamenta delle sale vuote. Insomma, ci serve equilibrio, magari non arrivare a 12 stelle della Mole (dai…) ma nemmeno fermarsi a uno o due ospiti «mediatici».
E qui suggerisco una pubblica ammenda come giornalista e spettatore. Quanti articoli o servizi tv avremmo fatto sul Tff senza Sharon Stone, Angelina Jolie, Ron Howard e gli altri? Quanti articoli o servizi tv sul Tff avremmo letto o guardato senza questi personaggi? La necessità, condivisibile o meno, era che del festival si parlasse molto più che in passato e questo è stato fatto. Manca, come sempre, l’equilibrio. Aprirsi a un pubblico più ampio non significa abbandonare i cinefili, essere più glamour non deve far perdere i contenuti. La domanda è: a qualcuno di quelli che tengono le redini della città interessano davvero i contenuti o basta passare tutte le sere al Tg1?
Mi viene in mente la Torino che si scopre appassionata di tennis per dieci giorni l’anno e poi stop, la stessa Torino che dopo quattro anni di Atp Finals non ha neanche immaginato una sottospecie di progetto sportivo sul tennis a medio o lungo termine, per non parlare del ciclismo fra Giro d’Italia, Tour de France e Vuelta che hanno fatto e faranno tappe in Piemonte, ma questa è un’altra storia.