Le case erano rade, distanti dai bordi della strada, un’ultima macchia verde e gialla accoglieva salutava da lontano il fiume che scendeva dalle montagne, ora placido, ora più irruento. Tra le fronde dei tigli scivolava leggero il Föhn, mentre Mario sceglieva con cura un gradino su cui sedersi. Riparato ma non troppo, defilato ma comunque non troppo distante dai sentieri, sempre di fronte al laghetto sul quale troneggiava il vecchio binario della monorotaia. Da lì osservava distrattamente i corridori sportivi e amatoriali che frequentavano con più o meno assiduità il Giardino della Liberazione (il nome era Giardino del Corpo Italiano di Liberazione, ma tant’è). Ogni giorno, di buon mattino, l’uomo si trascinava con fatica fino all’area verde, attraversando con audacia via Ventimiglia. Poi, non contento, entrava nel parco e arrivava fino all’estremo opposto, su corso Unità d’Italia, seguendo un percorso non troppo pianeggiante.
«Cosa gli prende? Perché va fino lì?» era il dubbio che assaliva Serena, che quasi ogni giorno, mentre portava a spasso il suo buffo yorkshire, incrociava quel curioso signore zoppo. Un giorno lo fermò e tentò di attaccar bottone. «Buongiorno – gli disse – le piace camminare?». Mario sorrise. «In realtà no», rispose con un’espressione ingenua. Scoprì la sua gamba destra e mostrò la protesi. «Oh, mi dispiace», disse Serena, in imbarazzo. «Non si preoccupi – la rassicurò lui – mi piace solo questo lato del parco». Poi la salutò e andò a cercare un gradino. Gli incontri si ripeterono, i due avevano grosso modo gli stessi orari, ma il ghiaccio era rotto, così presero a salutarsi. «Buongiorno». «Buongiorno a lei».
Quella primavera era insolita, scossa soltanto da qualche tenue alito di vento e segnata da una pressoché totale assenza di precipitazioni. Passeggiare al parco, tra la natura che lentamente si ripendeva quegli scampoli di decadente modernità, era già piacevole. Le margherite precocemente in fiore adornavano i prati, mentre gli alberi producevano polline con una generosità inconsueta. Mario continuava imperterrito, sempre più affaticato dall’incedere dell’età, nella sua sistematica ricerca dell’altro lato del parco. Va detto che l’uomo si sedeva, si guardava bene intorno e osserva soprattutto gli alberi, poi si alzava e ritornava a bordo strada, sempre su corso Unità d’Italia. Restava impalato per un po’, poi rientrava al parco, sceglieva un altro posticino e restava seduto ancora qualche minuto, quindi ripeteva l’operazione più volte. A volte si avvicinava a qualche tiglio e ne scrutava la corteccia da vicino, ma lo faceva sempre più raramente
Serena era sempre più incuriosita da quell’uomo bizzarro, panciuto, ingrigito dal tempo ma soltanto nell’aspetto, i cui occhi azzurri erano sempre vivaci, il sorriso sempre largo, i gesti sempre ampi e teatrali. La ragazza, però, non aveva mai abbastanza tempo per aprire una conversazione con lui, si limitava a salutarlo, mentre lo osservava a distanza, guidata dai movimenti del suo cane.
Passò altro tempo, finché Serena vinse il proprio imbarazzo e, al momento del consueto «buongiorno» fece subito una domanda a Mario. «Le devo chiedere scusa – disse con timidezza – ma ogni volta mi chiedo come mai lei faccia avanti e indietro dal parco alla strada». L’uomo sorrise come sempre e la guardò fissa, Serena si pentì immediatamente di quella domanda. «Mi scusi…». «No, macché, venga con me, le faccio vedere una cosa». La prese delicatamente per il braccio, come fanno i padri con i figli quando vogliono spiegare loro qualcosa. Serena ubbidì e trascinò il piccolo yorkshire che, invece, era già proiettato verso un giardino. Tornati a bordo strada, Mario indicò in direzione Moncalieri. «Vede?» disse, ma Serena non capì, così lui decise di essere più chiaro. «Se ci fa caso – aggiunse – da qui si vede l’autostrada». Serena restò interdetta, Mario la salutò. «Ma che vuol dire?» disse la ragazza ad alta voce.
Fu l’ultima volta che Serena vide Mario. Subito non si fece troppe domande, ma con il passare dei giorni (la primavera stava già diventando un ricordo), iniziò a preoccuparsi. Il tempo passava e passava, così iniziò a chiedere a qualche frequentatore abituale del Giardino, altri padroni di cani e qualche corridore, nessuno ne sapeva nulla. Una sera, con un immane sforzo di memoria, cercò di ricordare la data del loro ultimo incontro facendo appello a impegni precisi di quella giornata. Le tornò in mente un’email importante che aveva inviato per lavoro e corse a spulciare la posta inviata della sua casella email: era il 23 marzo. Cercò su internet le notizie di quei giorni e dopo poco tempo lo vide, era proprio lui. Mario Guglielmi, agronomo, nato a Sanremo il 25 ottobre 1933, morto a Torino il 26 marzo 2019. L’articolo trovato online proseguiva con frasi come «a lungo giardiniere per il Comune, ha seguito le celebrazioni di Italia ‘61», «malato da tempo», «rimasto ferito da bambino, durante il conflitto» e poi «vedovo di Luisella Ferrino, sepolta a Sanremo». Serena pianse, non seppe nemmeno perché, del resto quell’uomo era poco meno che un conoscente, ma i suoi occhi, i suoi occhi, i suoi occhi. Erano occhi d’amore, forse per Luisella? Ma era morta nel 2009 – così c’era scritto – e di certo non si trovava al Giardino della Liberazione.
Ci volle molto tempo prima che Serena riuscisse a capire. Ciò avvenne quasi un anno dopo, in gennaio, quando con alcune amiche aveva deciso di concedersi una gita al mare in giornata, per assaporare un pallido sole iodato in attesa dell’estate. La destinazione era Finale Ligure, dove i genitori di una di loro avevano una casetta. Insieme, in auto, imboccarono la Torino-Savona a Moncalieri. Per quale motivo prendere la Torino-Savona se non per andare al mare? Certo, si poteva andare a Carmagnola, si poteva andare a Cuneo, ai concerti di Barolo, tutto quello che volete. Ma Serena aveva percorso quella tratta, in vita sua, quasi solo per andare al mare. E anche un’altra volta, quando per lavoro dovette andare a Villastellone e passò da lì, si rammaricò di non poter proseguire verso il mare. Ecco, la Torino-Savona, l’imbocco della Torino-Savona a Moncalieri, tra concessionari d’auto, palazzoni e benzinai, era il mare. E lungo il viaggio, poco prima di uscire alla volta di Finale, fece in tempo a scorgere una delle prime indicazioni per Sanremo. «La Torino-Savona è Sanremo – disse ad alta voce, attirando la curiosità delle sue amiche – e da corso Unità d’Italia si vede Sanremo». «Sere, ma che dici?» le chiese un’amica, stranita. «Niente, una scemenza» si schermì. Tutte scoppiarono a ridere, ma lei sorrise, come Mario.