«Che diavolo gli è preso? Che cos’è quella roba? Che cos’è? Che cos’è?».
«State calmo, Rav…».
«Non sto calmo proprio per niente! Ma dico, ci rendiamo conto? Chiamatelo immediatamente e fatelo venire qui!».
Ishmael sospirò, rassegnato, l’ennesima sfuriata del rabbino capo lo avevo stancato. Non tanto per lui, che tutto sommato aveva anche ragione, quanto per la situazione. Il problema era che nessuno della comunità aveva controllato bene i progetti al momento opportuno. Fiducia totale all’architetto e via, ma sarebbe stata solo questione di tempo. Toccava a Ishmael, ora, andare a chiamare quel bizzarro uomo che abitava in una casa ancora più bizzarra di lui. Stretta e lunga, per far passare il letto avevano dovuto abbattere un muro per poi ricostruirlo. Certo, forse gli indizi sulla sua stravaganza erano già sufficienti per lasciare intendere che forse non sarebbe stato la persona giusta. O forse sì, chi lo sa.
Ishmael bussò alla porta.
«Chi è?».
«Sono…».
«Ah sì sì, entrate, entrate». La porta sì aprì e di fronte a lui comparve una donna scapigliata, elegante e trasandata allo stesso tempo. Le sue origini nobili erano evidenti, per questo a Ishmael continuava a sfuggire il motivo per cui si fosse perduta con quell’architetto. Quest’ultimo, invece, sedeva al tavolo della cucina, di fronte a lui un cumulo di fogli, disegni, matite e righelli.
«Buongiorno, architetto». Disse Ishmael.
«Buongiorno a voi, venite». Rispose l’architetto.
Così il ragazzo poté dare un’occhiata ai progetti, vedere disegni cancellati, rifatti, modificati, con aggiunte e segni incomprensibili.
«Vedete – illustrò l’architetto – se noi aggiungessimo due montanti su questa parete, con un paio di tiranti qui, potremmo salire ancora di più».
«Ecco, vorrei parlarvi proprio di questo, signore».
«Ci ho lavorato tutta la notte».
«Non lo metto in dubbio, ma vedete…».
«E poi questi marmi vanno sostituiti, non reggono».
«Certo, ma il rabbino capo vuole vederla».
L’architetto si zittì e lo guardò perplesso. «Ma io devo lavorare», obiettò.
«Sono sicuro che potrà concedergli un’ora del suo prezioso tempo», ribatté Ishmael.
«Se vuole vedermi – aggiunse l’architetto alzandosi in piedi con irruenza – che venga lui al cantiere».
Ishmael fu spiazzato, ma l’architetto fu irremovibile. «Riferirò», disse il ragazzo.
Nell’ufficio del rabbino capo volavano fogli e fermacarte, mentre il calamaio rovesciato aveva imbrattato il pavimento e il tavolo. Solo le urla del rabbino erano più forti della paura di Ishmael di essere colpito da qualche oggetto volante. «Come si permette? – urlava il rabbino – Come si permette? Chi crede di essere?».
«Mi scusi…» provò a dire Ishmael.
«Lo prendo a calci! Giuro che lo prendo a calci! Cosa vuole fare salire ancora? Cosa? Dobbiamo arrivare fino in cielo? Questa è pura blasfemia! Io lo caccio! Lo caccio!».
Il progetto per quell’edificio sacro era sfuggito di mano, l’architetto era un visionario e continuava a cambiare i disegni, aggiungendo centimetri alla costruzione e prosciugando tutti i risparmi della comunità. Ma la situazione era troppo grave, il rabbino capo dovette mettere da parte l’orgoglio, si calmò e decise di correre al cantiere. La decisione era presa, il consiglio aveva stabilito la revoca del progetto.
«Architetto!». Ishmael lo intravide mentre parlava con il capomastro, richiamò la sua attenzione e gli chiese di avvicinarsi. L’architetto, notato il rabbino capo, quella volta ubbidì.
«Buongiorno», disse l’architetto.
«Buongiorno», disse il rabbino capo.
«Siete venuto a controllare i lavori? Ho qui dei disegni che vorrei mostrarvi».
«Architetto…».
«L’ho già detto al ragazzo, pensavo di aggiungere due montanti, ma ci ho ragionato, ne serviranno otto».
«Architetto, dovete interrompere i lavori».
«Scusi?».
«Non abbiamo più soldi, questo progetto è completamente un’altra cosa, ci è sfuggito di mano e la colpa è vostra».
L’architetto scoppiò a ridere.
«Sapevo che la vostra comunità avesse un grande senso dell’ironia – commentò – ma questa era veramente grossa, ci stavo credendo!».
«Ritenetevi sollevato dall’incarico, il progetto si ferma qui, vi pagheremo il dovuto e poi addio». Il rabbino capo girò i tacchi, l’architetto rimase di sasso, Ishmael cercò di incrociarne lo sguardo, voleva dirgli qualcosa, ma fu richiamato dal rabbino.
Le lacrime dell’architetto bagnarono i suoi disegni, ma durò poco, la rabbia prese il sopravvento. Cacciò tutti, capomastro, operai, gettò in terra alcuni trabattelli, strappò i disegni e prese a calci inutilmente un sacco di sabbia. Nessuno lo aveva capito, un’altra volta.
Pochi giorni dopo il rabbino capo ricevette la visita di un messo comunale. Fu un colloquio breve, concluso da una stretta di mano. Il rabbino ritrovò il sorriso e convocò il consiglio. Ishmael fu invitato ad assistere, perché avrebbe dovuto riferire tutto all’architetto. Anche il ragazzo fu contento e corse da lui, non vedeva l’ora di annunciargli che il Comune di Torino avrebbe acquistato l’edificio per completarne la costruzione.
«Architetto! Architetto!».
L’architetto non gli aprì.
«Ho una buonissima notizia per voi!», insisté Ishmael.
La porta si mosse e restò socchiusa.
«Che volete?» disse l’architetto facendo capolino, era scuro in volto.
«Il Comune comprerà tutto».
«Tutto che?».
«L’edificio, il vostro progetto, tutto!».
«Cosa se ne fa il Comune di una sinagoga?».
«Non sarà una sinagoga, credo, ma ho qui tutti i documenti».
«Chi si occuperà del progetto?».
«Voi».
L’architetto non ci credeva, prese subito la copia dell’atto di acquisto da parte del Comune per leggere il nome dell’architetto designato. C’era scritto: Alessandro Antonelli. Un raggio di sole entrò in quel momento dalle finestre di Casa Scaccabarozzi.