Foto in copertina: nataleatorino.it
Ci pensava tutte le volte, aveva in testa la canzone di De André che faceva «nera che picchia forte, che butta giù le porte». Quell’acqua che non si aspetta, «altro che benedetta», che saliva dalle scale e saliva anche su dai vialetti del Borgo Medievale. Oreste li spazzava e si ricordava del passato, di quando un anno sarebbero servite le idrovore, altro che la scopa di saggina. Sacchi di sabbia al posto dei cestini.
Nera che non si vedeva da una vita intera.
Pietre che lottavano con l’erba per emergere dal terreno. Il Po era minaccioso, quell’anno, già si capiva da giorni che lì, quella mattina, non ci sarebbe dovuto scendere. Eppure provava un insano bisogno di rischiare, una perversa attrazione per il pericolo, perché pensava, Oreste, che nella sua vita ordinaria di netturbino avrebbe avuto qualcosa in più da raccontare. Lo pensava, accidenti se lo pensava, e ogni volta che tornava al Borgo Medievale per lavoro gli rimbombava in testa quel fortissimo «Ma che cazzo fai? Sei coglione?» urlatogli da un poliziotto che lo mandava via, poco prima che il Po esondasse. «Ma sono di turno!», aveva risposto Oreste. «Fuori dalle palle!» aveva ribattuto l’agente. Era finita così. Qualche anno dopo l’aveva incontrato in tutt’altra zona, erano entrambi in borghese. Oreste non era sicuro che il poliziotto l’avesse riconosciuto, ma percepì un lieve ondeggiare del suo capo e fu abbastanza convinto di aver letto sul labiale le parole «va’ ’sto piciu».
Acqua che stringe i fianchi, tonnara di passanti.
L’aveva vista salire, mentre spostava il suo camioncino lungo viale Virgilio. Si era fermato, era sceso, aveva visto le onde che salivano, il Borgo Medievale bagnato dal Po, trasformato in un molo. Scoiattoli che fuggivano, canoe strappate dai loro ricoveri e sferzate lungo le sponde. E poi, d’improvviso, i traghetti. I traghetti? I traghetti, i traghetti!
Acqua che porta male.
Valentino, Valentina. Entrambi i traghetti del Po, trascinati via come tronchi, scaraventati sui ponti. Oreste aveva lasciato il camioncino, si era messo a correre verso il fiume, voleva vedere, voleva provare a prenderli con le mani. Corse giù, inciampò su un sacco di sabbia, si voltò, vide la Protezione civile al lavoro per ricostruire gli argini. Volse lo sguardo verso il Borgo Medievale, pensò alle vetrine, ai negozi, alla caffetteria. Tutto pieno di fango e legna marcia. Ciao Valentino, ciao Valentina. Oreste incrociò di nuovo quel poliziotto. «O ci dai una mano o te ne vai», gli aveva intimato. E il netturbino tornò al suo lavoro.
Per cercare i complici da maledire.
Acqua che non c’era più, non si era più vista come Valentino e Valentina. Oreste spazzava, sistemava i vialetti, svuotava i cestini. Si prendeva a sberle come per svegliarsi. Ogni volta, pensava, si rendeva conto di essere ancora lì grazie a quel barlume di lucidità, a quel poliziotto incazzato. Faceva freddo, era quasi Natale, diventava buio presto. Il Borgo Medievale si svuotava di persone e si riempiva di colori, di luci, di musica. C’era un artista che raccontava storie davanti al presepe, quella roba lì, di Emanuele Luzzati. Lui l’aveva conosciuto una volta, non gli aveva fatto una grandissima impressione, così raccontava per darsi un tono. Però, accidenti, a guardare quel presepe gli sembrava di tornare bambino. «Una sera – pensò – mi metto di fianco all’artista e racconto la mia storia: l’uomo che voleva fermare i traghetti con le mani e inciampò su un sasso». Sorrise, svuotò l’ultimo cestino, diede uno sguardo al presepe e poi tornò al camioncino, il turno era quasi finito.
Bassa sfila tra la gente come un innocente che non c’entra niente.