C’è una lunga fila di persone. Anna schiaccia le foglie secche, le piace sentire lo scricchiolio sotto i piedi. Guarda le persone, schiaccia le foglie. Suo padre le prende la mano, è ora di andare. Ma Anna non si muove, continua a guardare le persone e a schiacciare le foglie. Dice «papà, chi sono quelli?».
Il papà non lo sa, chi sono quelli. Però c’è ancora un po’ di tempo. Si avvicina con sua figlia per la mano e cerca di vedere meglio. «Non conosco nessuno, ma deve essere il funerale di qualcuno di importante perché c’è tantissima gente». Anna ha sei anni, sa benissimo cos’è un funerale perché l’ha già vissuto. Non ha pianto, quel triste giorno di marzo, mentre salutava il nonno, però ha visto papà piangere e quello no, quello non se lo dimentica, perché i papà non piangono mai.
«Cosa c’è scritto?». Anna non riesce a leggere il nome di quel signore dai capelli bianchi che sorride, con un libro in mano, nella foto posizionata all’ingresso del Cimitero Monumentale di Torino. Nella calca di persone e bandiere, il papà legge «Bruno Segre». Ma il nome gli dice poco, forse una volta l’ha sentito nominare, forse no, non è sicuro. Però sua figlia vuole sapere e il papà si vergogna di non poterle rispondere. Così prende il telefono e cerca su Google. Ci sono articoli, una pagina Wikipedia, tantissimi contenuti.
Il papà legge velocemente e poi inizia a raccontare qualcosa. Anna ascolta, mentre sente le persone che si salutano. «Bruno Segre aveva 105 anni, pensa un po’, ed è morto proprio nel Giorno della Memoria, il 27 gennaio. È stato un partigiano, arrestato dai fascisti». Aspetta, papà, Anna non sa chi sono i fascisti e non sa chi sono i partigiani. «Allora, Anna, i fascisti erano persone che hanno governato l’Italia per vent’anni impedendo la libertà di dire e fare quello che vuoi e portando il Paese in guerra. Tuo nonno in quella guerra ha combattuto ed è stato pure catturato, ma per fortuna non era ebreo». Anna ascolta, chiede perché quella frase, perché per fortuna non era ebreo. «Perché l’avrebbero ammazzato per quello, solo per il fatto di essere ebreo. Hai capito?».
Forse il papà avrebbe dovuto trovare un sinonimo di «ammazzato», una cosa più delicata, più da bambini. Ma un omicidio è un omicidio, puoi chiamarlo come ti pare ma resta tale, come la persecuzione, come il razzismo, come la dittatura. Anna non si scompone. Dice «ancora». Così il papà ricomincia. «Pensa che, una volta, Bruno Segre fu inseguito da una guarda che gli sparò, si salvò perché nel taschino aveva un portasigarette di metallo, che fermò il proiettile». La bimba dice uao. «Dopo la guerre fece il giornalista, poi l’avvocato, difese le persone che erano state accusate di crimini politici durante il fascismo. E poi quelli che non volevano fare il militare, gli obiettori di coscienza. E poi quelli che volevano divorziare».
«Ma papà, scusa, il divorzio non è una cosa brutta?». Il papà non lo dice, ma ha degli amici che la stanno vivendo, quella cosa brutta, però non si può fare nient’altro. «Sì, è brutto, però a volte è necessario. E ci deve essere la libertà di poter divorziare, altrimenti si vive male tutta la vita». Anna annuisce. «Cos’è il militare?». Il papà non l’aveva fatto. «Il militare è il soldato, una volta eri obbligato a fare un anno o due anni nell’esercito, perché così era la legge. L’obiezione di coscienza significa che tu non lo fai ma fai un altro servizio, fai assistenza per i disabili ad esempio». Anna guarda la folla. Tutti iniziano a entrare, così la bambina trascina il papà all’interno, al seguito di quella fiumana di gente con le bandiere.
«Quindi, papà, Bruno Segre voleva rendere tutti liberi». «In un certo senso sì». «Allora era bravo». Il papà sorride. Un uomo, che aveva sentito la conversazione, sorride pure lui. Poi si entra nel tempio crematorio. Tanta gente, tante facce, tante parole belle e alcuni pugni chiusi. Anna e il papà sentono parole come «viva l’Italia antifascista». Poi si fa tardi sul serio, così devono uscire. Sulla via del ritorno, Anna chiede: «Papà, ma i fascisti ci sono ancora?». E il papà dice sì. «Allora dobbiamo stare attenti, come Bruno Segre».
«Dobbiamo stare attenti, come Bruno Segre», ripete il papà.