Maria Grazia si pettinava con attenzione, cercando di mettere a fuoco la sua figura nel piccolo specchio che impreziosiva il bagno. Era pressoché l’unico oggetto di valore nel piccolissimo gabinetto posizionato sul ballatoio, tant’è che veniva costantemente riportato in casa. La giovane era obbligata a recuperarlo dal cassetto personale di sua madre, Adele, nell’unico comodino di fianco al lettone, per poi conservarlo gelosamente fino al bagno. Dopo averlo utilizzato, doveva essere pulito bene nel caso in si fosse appannato per via della condensa, per poi riportarlo al sicuro in casa e restituirlo al cassetto. Era un regalo di nonna Ida, che l’aveva infilato nella valigia di Adele alla partenza da Gravina. «Così ogni volta che ti guardi – le aveva detto – vedrai a me». E non solo per l’incredibile somiglianza tra Adele e sua madre.
Per questo Maria Grazia, 17 anni appena compiuti, era consapevole del valore, più che altro affettivo, che quello specchio aveva per sua madre, così lo utilizzava con estrema cura. Per poco non le prese un colpo quando, per una distrazione, lo specchio scivolò e cadde per terra. Fu un miracolo, non riportò nemmeno un graffio, ma che spavento.

Moreno, il fratello più piccolo di Maria Grazia, bussò alla porta con insistenza. «Hai finito? Tocca a me!». «Arrivo», rispose lei con fastidio. Pettinarsi per lei era un gesto importante, la faceva sentire donna anche se non possedeva trucchi, e soprattutto le piaceva, era l’unico momento che si concedeva per prendersi cura di sé. Pazienza per Moreno, era piccolo, faceva sempre i capricci, avrebbe aspettato qualche minuto.
Quando la ragazza aprì la porta, però, si trovò di fronte un’immagine orribile. Il fratellino aveva fatto pipì sul ballatoio, urlò, pianse, diede la colpa alla sorella e diversi vicini si affacciarono a vedere. Adele comparve sull’uscio allarmata, seguirono altre urla, Maria Grazia restò impietrita, quello scherzo l’avrebbe fatta arrivare in ritardo all’appuntamento con Salvatore, il suo fidanzato, che l’aveva invitata a prendere un gelato in piazza Vittorio.
Adele le lanciò addosso lo straccio. «Cretina! Te l’ho detto che Moreno non ce la fa! Pulisci!», le urlò. Ma la ragazza si rifiutò, cercò di scappare, di uscire, Adele la prese per un braccio e iniziò a schiaffeggiarla, Maria Grazia non reagì, tentava solo di divincolarsi. Moreno piangeva, gli altri fratelli, infami, piangevano. «Vuoi solo uscire con Salvatore!», urlò il più piccolo. «L’hai fatto apposta! Stronzo!» urlò lei. E la madre prese a calci tutti e due. «Tanto lo so che devo pulire io!» urlò ancora. «E che gli dico a vostro padre? Eh? Quello mo torna!». La ragazza riuscì a sfuggire alla presa di sua madre, arraffò la borsa, che aveva già preparato, e le scarpe. Mandò a quel paese i fratellini e fuggì da Salvatore. Sapeva che, al suo ritorno, sua madre l’avrebbe picchiata con la scopa. Suo padre no, non l’avrebbe toccata, ma non le avrebbe rivolto la parola, cosa che forse sarebbe stata più dolorosa.

A passo svelto, Maria Grazia percorse via Monferrato e raggiunse la Gran Madre. Che bella chiesa, sarebbe proprio meraviglioso sposarsi qui, pensò per un attimo. Poi, presa dal panico, si mise a correre fino al ponte, temeva che qualche cugino la venisse a cercare per riportarla a casa.
L’estate lasciava spazio all’autunno ma il clima era ancora mite, piuttosto congeniale a una ragazza pugliese abituata al caldo torrido della sua terra natia. Certo, nulla a che vedere con Gravina, ma lei, in fondo, odiava quel piccolo paese, lei voleva la città, voleva le possibilità, voleva una prospettiva diversa da quella di sua cugina Flora. Tre anni più di lei, era rimasta a Gravina perché aveva già due figli piccoli, mentre il marito, Pasquale, lavorava in nero da un meccanico. Non era molto, ma era qualcosa. «Marì – le disse Flora prima della grande partenza – non fare figli finché non decidi dove vuoi stare, io sono condannata, tu no». Una frase che l’aveva gelata, che le dava ancora i brividi nonostante la dolce brezza che l’accoglieva sul ponte Vittorio Emanuele I.
La Germania, di nuovo la Germania, era un pensiero di Salvatore e che lei, però, aveva fatto suo. Torino era solo una fermata per raccogliere il necessario, ma la destinazione era Bonn. Era concessa solamente un’altra tappa, Hannover, giusto per amore del suo fidanzato, e nulla più.

L’abbraccio affettuoso di Salvatore la riportò alla realtà. Maria Grazia non se n’era accorta, ma mentre passeggiava assorta nei suoi pensieri aveva già raggiunto la piazza. Il fidanzato l’aveva chiamata in lontananza, ma lei non l’aveva sentito. «Tutto bene, Marì?» disse lui. «Sì, tutto a posto, Moreno ha fatto lo stronzo». «Ma è solo un bambino». «Un bambino stronzo».
La vista del luna park che sarebbe stato allestito qualche settimana più tardi, però, la distrasse, la portò via dai brutti pensieri della famiglia e le consentì di godersi le carezze di Salvatore, il gelato al gianduja – che amava – e le risate.

«Ho trovato una cosa», disse lui mentre la riaccompagnava a casa. E le porse un foglietto.
«Cos’è?».
«Un corso di tedesco».
«Ah».
«Se ti va lo facciamo insieme».
«Ma costa 200 lire a settimana, a persona».
«Non è tantissimo, e poi te lo pago io».
«Non posso».
«Sì che puoi. Lo facciamo per noi, e poi così stiamo più insieme».
Si abbracciarono.
«Ma chi lo fa?» chiese lei.
«Un professore dell’università, si chiama Fossati».
«Non lo conosco».
«Manco io». E risero entrambi.

Si salutarono prima di arrivare all’angolo con via Monferrato, cosicché Maria Grazia potesse tornare a casa senza essere vista con lui, anche se tutti, ormai, sapevano della loro storia. Nascose il foglietto in tasca e, una volta entrata nel portone, fece un respiro profondo.
Al suo ingresso in casa trovò un silenzio innaturale. I tre fratelli, Moreno, Pietro e Michele, sedevano al tavolo composti, con i piatti sporchi, residuo di una cena a base di orecchiette al pomodoro, una delle passioni di Maria Grazia. Suo padre, Ernesto, aveva acceso una sigaretta e fissava il televisore come se fosse in catalessi. Scorrevano le immagini del telegiornale, si vedeva il Vietnam, si parlava della conclusione della guerra, Maria Grazia poté vedere il volto del presidente americano Johnson, che annunciava la fine dei bombardamenti. In quel tempo sospeso, la ragazza vide le immagini di Praga invasa, poi un’altra invasione molto diversa, quella delle vetture che riempivano le strade di Torino per il Salone dell’automobile. Scampoli di realtà che, in quel momento, le appariva così distante dalla piccola cucina ancora pregna dell’odore del sugo.

Adele era in piedi di fronte all’acquaio, mentre lavava alcuni piatti e pentole. Avevano già cenato tutti, la ragazza evitò di protestare e si mosse, senza dire una parola, verso la camera. «Dove vai – disse Adele – guarda che c’è il tuo piatto». Era appoggiato sul frigorifero, freddo e rattrappito. «Non ho fame», protestò la figlia. Con uno sguardo, Ernesto intimò ai tre fratellini di andarsene, probabilmente avevano preso qualche schiaffo anche loro, perché si alzarono velocemente, diedero la buonanotte e si misero in fila sul ballatoio per andare al bagno a lavarsi i denti, a turno, ordinati e, per una volta, educati. «Siediti, Marì, e prenditi il piatto» disse Ernesto senza guardarla.
Maria Grazia si preparò alle botte e, d’istinto, diede un’occhiata alla scopa, che sua madre lasciava appoggiata tra il frigorifero e il lavandino. Prese il piatto e una forchetta pulita, si sedette e cercò di mangiare quella pasta ormai fredda, a fatica, mentre Ernesto si era voltato verso di lei per fissarla, con la sigaretta fra le dita che perdeva cenere sul pavimento. «Dove sei stata?» chiese lui, con voce calma e profonda.
«Con Salvatore» rispose lei.
«Non ti ho chiesto con chi, questo lo so, me l’ha detto Vincenzo». Quell’infame di suo cugino, che stava sempre in giro e riferiva ai suoi genitori tutto ciò che riguardava lei. «Ti ho chiesto dove sei stata».
«In piazza Vittorio».
«E poi?».
«E poi basta».
Con un pugno fortissimo, Ernesto fece sobbalzare il tavolo, il piatto che si rovesciò, l’acqua che bagnò la tovaglia, la forchetta che cadde per terra.
«Non mi devi dire cazzate, Marì, non me le devi dire! – urlò – Tu a me non mi devi prendere per il culo, è chiaro? Ti ho chiesto dove sei stata, quant’è vero Iddio non ti ho mai toccata ma me le tiri dalle mani. Dove sei stata Marì? Dove sei stata?».
«Ernesto, calmati» intervenne Adele.
«Stai zitta, che la difendi sempre. Non mi risponde» e colpì ancora una volta il tavolo. Alcune orecchiette finirono per terra, Maria Grazia era impietrita, impaurita, bloccata.
«Diglielo, Marì, digli dove sei stata» le sussurrò Adele, provando ad accarezzarla, ma la ragazza voltò la testa dall’altra parte, in direzione della porta, dove poté vedere i tre fratelli che spiavano dal ballatoio. Li guardò con odio. Adele le prese il viso con la mano, lo girò di forza verso suo padre. «Diglielo! Diglielo Marì! Digli dove ti sei fatta portare!».
«Da nessuna parte! In piazza Vittorio!». Provò a rispondere.

Uno schiaffo, non troppo forte ma comunque doloroso. Suo padre si era alzato e l’aveva colpita, per la prima volta, ma l’aveva colpita. Gli occhi di Maria Grazia si riempirono di lacrime.
«Ti sei fatta portare dietro alla piazza, in mezzo alle altre coppiette. È vero o no?» le urlò Ernesto.
Maria Grazia guardò in basso, senza rispondere, con il viso rigato dalle lacrime.
«Te gli devi dire a Salvatore tuo – aggiunse Ernesto, più calmo – che tieni 17 anni e che lui qua non si è mai fatto vedere. E che qua comando io e se dico che non vai in mezzo alle coppiette, tu in mezzo alle coppiette non ci vai».

Non era vero, Vincenzo si era inventato tutto. Qualche tempo prima, il cugino spione era uscito un paio di volte con la sorella di Salvatore, Loredana, ma le cose non erano andate bene, così i due uomini avevano litigato, all’interno di un atavico rituale di possesso, in cui chi dispone del destino delle femmine sono sempre i maschi. Fidanzati, padri o fratelli che siano. Anche in buona fede, anche con le migliori intenzioni, ma sempre di possesso si trattava.
Salvatore teneva moltissimo a sua sorella, che era la più piccola, e non gli andava a genio che andasse in giro con Vincenzo, uno sciagurato che cambiava lavoro ogni mese e non si capiva mai che intenzioni avesse. Salvatore aveva tollerato, ma dopo due settimane aveva incontrato Vincenzo in piazza Castello, a braccetto con un’altra ragazza. Ne era nato un litigio abbastanza grave, che si era risolto miracolosamente senza mani addosso, ma solo con tante minacce. Poi Loredana aveva interrotto la relazione su indicazione di suo fratello. Da quel momento, ogni volta che poteva, Vincenzo cercava di rendere la vita difficile a Salvatore, con l’unico risultato di tormentare solo e soltanto sua cugina.

Di fronte alla furia di suo padre – chissà quali dettagli gli aveva riferito, chissà a quale inesistente luogo per coppiette aveva fatto riferimento – Maria Grazia però non riuscì a reagire. Fu mandata a dormire velocemente e senza spiegazioni, mentre la discussione andava avanti tra Ernesto e Adele, con quest’ultima che prendeva le parti di sua figlia, cosa che faceva soltanto davanti al padre. «Vincenzo è un cozzalone e dice solo fesserie» sentì dire alla madre, ma Ernesto se la prese anche con lei, le diede uno spintone che la mandò a sbattere contro il lavandino, facendo cadere alcuni piatti che andarono in frantumi per terra, e poi uscì sbattendo la porta. I tre fratelli, nel frattempo, erano rientrati in camera e si erano stretti intorno a Maria Grazia, singhiozzando. Era il loro modo di scusarsi, il loro rapporto era conflittuale, ma sempre all’interno della presa in giro. Nessuno di loro, nemmeno Moreno, godeva delle botte che prendevano gli altri.
Adele entrò in camera e si sforzò di sorridere. Diede una carezza a tutti, poi guardò Maria Grazia negli occhi. «Fai attenzione a Vincenzo – le disse – perché tuo padre lo ascolta troppo. Io lo so che si è inventato tutto, o quasi tutto, e lo so che tu a Salvatore lo ami. Ma ti dico una cosa: prima vi sposate, meglio è, altrimenti ogni volta che Vincenzo vi vede in giro qua dentro tremano i muri». Era il segnale, Maria Grazia avrebbe dovuto crescere molto più velocemente.

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...