C’erano centinaia di persone al Teatro Regio ieri sera (anzi, di fronte all’ingresso) per sentire un ricordo commosso di chi ha lavorato con Fiorenzo Alfieri e della sua famiglia, oltre a tre brani emozionanti cantati dallo straordinario Coro del teatro. Quasi tutti i presenti erano addetti ai lavori, assessori, ex assessori, l’ex sindaco Valentino Castellani, operatori culturali, l’ex Sovrintendente del Teatro Regio Valter Vergnano, comunicatori e staffisti, organizzatori e produttori culturali. Tutte persone che di Alfieri mi hanno parlato, con aneddoti, impressioni, ricordi, commenti. Io, invece, l’ho a malapena conosciuto, forse l’avrò intervistato al telefono un paio di volte.

In questi giorni sto terminando un libro, del quale parlerò a breve, e nel realizzarlo mi è capitato di incontrare spesso il nome di Fiorenzo Alfieri. Assessore per 25 anni, con diverse deleghe, al Comune di Torino, ha lasciato un’impronta molto forte nell’impostazione culturale della città. Ieri, alla Galleria Tamagno del Teatro Regio, si è svolto un piccolo evento organizzato dai famigliari, con il patrocinio della Città (domani in Sala Rossa ci sarà un incontro), per ricordarlo a un anno esatto dalla scomparsa (anche lui portato via dal Covid). Il sindaco, Stefano Lo Russo, ha detto, in buona sostanza, che a lui si ispirerà per rendere la cultura un valore, anzi, per valorizzare il patrimonio cittadino attraverso la cultura.

Ho letto La città che non c’era, scritto da Alfieri con Steve Della Casa (letteralmente introvabile, me l’ha prestato Gabriele Ferraris, che ringrazio), e ho pensato al perché, oggi, Torino viva in maniera così forte la mancanza del suo ex assessore. Pur criticabile sotto certi aspetti, la politica di Fiorenzo Alfieri ha sicuramente dato un impulso forte alla riconversione della città, da «one company town», città con la Fiat e «della» Fiat, a polo culturale. Non ha certo fatto tutto da solo, ma Alfieri è espressione di quel movimento di cambiamento che negli anni Settanta si declinò in vari ambiti, dalla cultura all’educazione. Insomma c’erano delle idee, alcune anche discutibili, per carità, ma pur sempre delle idee.

Credo che l’elaborazione del lutto per Torino, che risale al momento in cui la capitale del Regno fu spostata prima a Firenze e poi a Roma, passi attraverso la visione. Fiorenzo Alfieri aveva una visione, un piano per sviluppare le potenzialità cittadine. Che significa, nel concreto, «visione»? Intanto serve un punto di arrivo: questa città che cosa vuole essere? Posto che non possa più considerarsi una realtà industriale – al netto della pur consistente presenza manufatturiera, non tanto in città quanto nell’area metropolitana – occorre decidere una volta per tutte che cosa farne. E a proposito di area metropolitana, è bene che Torino si ricordi di esserne il capoluogo, non una sorta di sovrano. La cultura, dicevo, è un settore centrale, ma servono investimenti, riconversioni (occhio a utilizzare il termine «riqualificazione») e soprattutto chiarire tanti passaggi intermedi. In una parola: strategia. Ecco, se la città vuole rendere onore a figure come quella di Fiorenzo Alfieri, occorre definire una strategia che vada oltre la frase «valorizzare il comparto culturale».

La strategia comporta una programmazione, una tabella di marcia, incontri, tavoli di lavoro, passaggi concreti, aperture, stagioni, eventi, accordi commerciali, collaborazioni fra enti, scambio di risorse e competenze. E poi rinnovamento, ad esempio per il bellissimo progetto delle Luci d’Artista, altra invenzione di Alfieri. È una cifra stilistica della città ma avrebbe bisogno di qualche nuova opera, magari una all’anno (costano un po’, me ne rendo conto). E poi un programma per coinvolgere tutta la città che passi – tema delicatissimo – anche attraverso i collegamenti e la viabilità. Non basta fare uno spettacolo in periferia o portarvi un’opera d’arte pubblica se poi si impiega un’ora di pullman per raggiungere il luogo in questione dal centro della città.

«La valorizzazione e promozione della cultura è oggi centrale nelle politiche di sviluppo delle città europee. A Torino questa politica trova le sue radici nel passato di capitale sabauda e d’Italia e di capitale industriale. La cultura e le attività culturali, nei settori tradizionali e in quelli legati alle nuove tecnologie, rappresentano insieme al commercio e allo sport, una delle componenti chiave per migliorare la qualità della vita dei cittadini, ma anche un potenziale motore di sviluppo economico con forti ricadute sull’occupazione».

Fiorenzo Alfieri in La città che non c’era (con Steve Della Casa, Dino Audio Editore, 2012)
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