Le foto di questo post sono di Sara Sonnessa, che ringrazio molto.
Noi torinesi abbiamo dei riti. Ad esempio passeggiare sotto un viale alberato, in piazza Castello o sul lungo Po, salire sulla Mole Antonelliana o a Superga, oppure andare a vedere il Museo Egizio (tutti l’hanno fatto almeno una volta nella vita, anche solo come rito d’iniziazione scolastico). In alcuni casi questi riti coincidono con avvenimenti che coinvolgono tutta la città o una parte di essa. Il Salone del Libro – vuoi o non vuoi, finisce che ci vai, salvo poi lamentarti della troppa gente – oppure Portici di Carta.
Oggi si chiude la quindicesima edizione, sotto la pioggia, di questa straordinaria manifestazione, con la “torinesissima” dedica alla “Ditta” Fruttero&Lucentini e tante iniziative di contorno. Che poi, a voler essere estremamente critici, che vuoi che siano “quattro bancarelle di libri messe in fila”? Oddio, quattro proprio no, ma è un modo di dire. Noi torinesi, pur essendo così visceralmente affezionati ai nostri riti, siamo anche estremamente critici. Piazza Castello? Bella eh, ma che noia. Superga? Sì, sì, carina, per carità, ma che scomodo arrivarci. Il Salone del Libro? Bello, bellissimo, ma troppo casino. E poi Portici di Carta. Sì, bello, anche lì, bellissimo, però la gente, la pioggia, i libri che tanto hai già visto in libreria, le bancarelle sai che novità. Eppure, con questo atteggiamento, noi torinesi non ci rendiamo conto di essere fortunati.

Il fatto di poter dire “oggi non so che fare, vado a Portici di Carta” è di per sé una cosa bellissima. Ci sono paesi interi che non solo non hanno una libreria – e vabbè, in un comune di 32 abitanti certo non sarebbe una grande idea aprire una libreria – ma non ce l’hanno nemmeno nei dintorni. E così, per comprare un libro, devi prendere l’auto, fare 10 km (se va bene) o andare in un’altra valle (di solito, in Italia, i più sguarniti di servizi sono proprio i comuni montani). Che problemi sono? Sono problemi. Perché non è retorica, il libro è vita, è pensiero, è emozione, è ciò che rende umani.
E con libro intendo qualsiasi oggetto in forma di libro o simili: riviste, fumetti, fascicoli, dizionari, enciclopedie. Insomma parola scritta, storie raccontate, conoscenza condivisa, sapere collettivo. Occasioni, insomma, per migliorare o crescere.

Che bello sarebbe poter dire, in qualsiasi città una persona si trovi, “mi serve questo libro, scendo un attimo in libreria e lo compro”. Invece la libreria non c’è. Sì, c’è quella cartoleria che vende qualcosa, anche quell’edicola, ma il rapporto con il libraio è diverso, c’è poco da fare. Anche su questo, noi torinesi non ci rendiamo conto di essere fortunati.
Le librerie, a Torino, sono parecchie e solo quelle indipendenti sono circa una sessantina (probabilmente sono di più, in ogni caso già così è un numero mica da poco). Questo significa che è davvero difficile non trovarne una. Che poi, a pensarci, non è solo una questione di libri. In libreria avvengono cose, si incontrano persone, ci sono le presentazioni, gli scrittori, nascono idee e progetti. Sì, d’accordo, può succedere ovunque, ma diciamo che in un supermercato la vedo un po’ più complicata. Penso che il concetto sia piuttosto chiaro, è una questione di predisposizione mentale.

Noi torinesi possiamo lagnarci del fatto che a Portici di Carta ci fosse tantissima gente. Possiamo dire “sì, ci sono andato, ma quest’anno non ho trovato granché”, mentre appoggiamo i nostri tre o quattro libri antichi, o usati, pagati 2 o 3 euro l’uno e in condizioni più che dignitose. Ecco, questa è una fortuna. Sì, d’accordo, la “via del libro ritrovato”, con i venditori di libri usati o fuori catalogo, non c’è solo per Portici di Carta, ma si trova regolarmente in diversi periodi dell’anno. Però a Portici vai comunque, compri quelli usati, compri anche quelli nuovi, scopri altre librerie, altri editori, altri autori, ti fai firmare un libro, incontri parecchi amici.
Poi, certo, occorre ricordare al Comune di Torino che forse le luci sotto i Portici andrebbero accese un po’ prima, dato che alle 18.30 è già buio. Dovrebbero essere puliti meglio, questi Portici, e non c’entrano niente i senzatetto – quelle sono battaglie che trovo discutibili per tanti motivi, ma non è la sede per parlarne – perché ci sono angoli dove sembra davvero che le istituzioni si siano girate dall’altra parte. Ci sono tante cose che si possono migliorare, ma i libri no, sono già perfetti così.
E se anche quest’anno siamo andati a Portici di Carta e abbiamo sbuffato per il caos, be’, allora anche quest’anno, noi torinesi, siamo stati fortunati. Speriamo di continuare a esserlo e magari, ogni tanto, di ricordarcelo.
