Fu detto proprio durante il Salone Internazionale del Libro di due anni fa: il Ministero della Cultura (all’epoca il titolare era ancora Gennaro Sangiuliano) entrerà nel cda del Museo Nazionale del Cinema. Anzi, pochi mesi dopo, il direttore dei musei del Ministero, Massimo Osanna, annunciò l’intenzione di fare la stessa cosa con il Museo del Risorgimento. Che il Ministero della Cultura intendesse entrare nella gestione di due musei torinesi, ma dal respiro nazionale, era una buona notizia, anche perché questo avrebbe portato in dote più finanziamenti.

Poi Gennaro Sangiuliano si è dimesso per via dello scandalo con Maria Rosaria Boccia (oggi candidata alle elezioni regionali in Campania con Stefano Bandecchi) e al suo posto è arrivato Alessandro Giuli. Nel frattempo è cambiato qualcosa anche nella strategia del Governo in fatto di cultura. È evidente anche alla destra che insistere sulla poverissima mostra di Tolkien è davvero troppo poco per parlare di «cultura di destra», mentre sta diventando stucchevole la litania della fantomatica «egemonia di sinistra» che stritola il Paese. Egemonia di sinistra talmente forte che in quasi tutta la Penisola governa la destra, oltre a guidare lo Stato. Tuttavia, questa forza di governo si è resa conto di non avere una forte tradizione culturale, quantomeno paragonabile – almeno in Italia – a quella della sinistra. I più noti intellettuali di destra nella storia recente italiana sono spesso compromessi con il fascismo. Del resto, se il primo partito d’Italia ha bisogno di celebrare Charlie Kirk probabilmente le questioni sono almeno due: non c’è veramente nessun altro, la linea è troppo appiattita su Donald Trump. Insomma, serve qualcosa di diverso.

Il Ministero della Cultura intendeva entrare nella gestione di Museo Nazionale del Cinema e Museo del Risorgimento di Torino, ma ora la priorità sembra essere diventato il Salone Internazionale del Libro.

Torniamo a Torino. Che ne è stato dei due musei? Per consentire al Ministero della Cultura di entrare nella loro gestione – in realtà concede da tempo una serie di finanziamenti, quindi in qualche modo è già presente – occorre cambiare i relativi statuti. Questa operazione sarebbe a partita, poi chissà. In compenso, negli ultimi anni abbiamo notato un certo interesse per il Salone del Libro. Prima, l’ex Ministro Sangiuliano dichiarava candidamente di aver chiesto di nominare tre membri nel comitato editoriale, poi si è trovato il nome di Annalena Benini per mettere d’accordo le forze politiche (gli altri candidati Paolo Giordano e Elena Loewenthal erano ritenuti troppo sovversivi?). E ora – questione emersa durante l’ultima edizione del Salone – il Ministero vuole entrare nella gestione. Peraltro, si è parlato erroneamente di ingresso nella governance, ma è impossibile perché il Salone è privato. Potrebbe però entrare nella «cabina di regia», un consesso che mette insieme privati ed enti pubblici e dove, per adesso, ci sono anche Regione Piemonte e Circolo dei lettori.

Lo ha detto chiaramente la Regione rinnovando per un anno il presidente del Circolo dei lettori, Giulio Biino. Nella nota in cui si annunciava la nomina, il 16 ottobre, si legge: «L’incarico avrà la durata di un anno con l’obiettivo di conseguire più strutturati rapporti con il Ministero della Cultura e dare così al Circolo dei lettori un maggiore rilievo a livello nazionale, di cui possa anche beneficiare il prossimo Salone internazionale del libro, con le conseguenti modifiche statutarie». Il fatto che, in maniera inconsueta, il presidente del Circolo dei lettori abbia un incarico di un anno servirà probabilmente a portare il Ministero della Cultura nel Salone del Libro, in una modalità ancora da stabilire. Si parla di «modifiche statutarie», ma di cosa? Del Circolo dei lettori? Non mi risulta che il Salone del Libro abbia uno statuto, ma diversamente ditemi.

Resta ancora la domanda: perché? Torniamo all’inizio. La destra, che ora gode di un largo consenso politico, sa bene che il consenso è effimero se non c’è una base culturale. Lo ha insegnato il Partito Comunista Italiano, cui si era ispirata, per certi versi, anche la Lega Nord di Umberto Bossi. Si pensi a come si sta muovendo, da tempo, l’assessore al welfare della Regione Piemonte, Maurizio Marrone: tante volte sembra un assessore alla cultura più che alle politiche sociali. Dopo aver snobbato la cultura per anni, la destra prova a sviluppare una propria tradizione culturale, che già esiste ma è meno forte di quella di sinistra. Per farlo, prima di tutto, serve occupare i posti più legati alla «cultura popolare». E cosa c’è di più popolare di una manifestazione letteraria che ha già sfondato la quota di 200 mila visitatori in cinque giorni? Il Salone gode di una attenzione mediatica fortissima, per quanto il libro, come oggetto in sé, non sia proprio prediletto dall’italiano medio. Il Salone del Libro, per visibilità e peso istituzionale, è molto più appetibile dei musei. Va notato, tuttavia, che sicuramente Giuli ha a cuore i musei perché ha saggiamente posto le condizioni per la conferma di Christian Greco alla direzione del Museo Egizio, nonostante il suo stesso partito ne chiedesse la testa.

Il Salone del Libro di Torino ha un peso mediatico e istituzionale che lo rende più appetibile rispetto ai musei, per quanto questi ultimi rivestano una elevata importanza per il territorio.

È vero, anche i musei attirano molto pubblico e il Museo Nazionale del Cinema è tra i più visitati del Piemonte (oltre 800 mila accessi nel 2024), ma non è la stessa cosa. Il direttore, di destra o di sinistra, può influire su qualche mostra temporanea o sulla gestione delle collezioni ma al visitatore interessa poco. Il Salone del Libro è diverso, perché grazie a scrittrici e scrittori si veicolano messaggi più forti, si possono invitare ospiti di un certo tipo, si può accendere un dibattito o, meglio ancora, si può «gettare acqua sul fuoco» e normalizzare qualcosa di impensabile come l’esistenza di un editore fascista (l’ultima polemica simil-culturale è scoppiata al Salone diretto da Nicola Lagioia, non a quello di Annalena Benini). Il Salone è più funzionale allo scopo. Stesso discorso per il cinema o per i grandi teatri: occorre qualcosa di popolare in termini mediatici.

A ben vedere, è una riedizione in salsa berlusconiana di ciò che ha sempre fatto la sinistra. Con la differenza che da sinistra, generalmente, arrivano più contenuti e più diversificati. Non tutti condivisibili, per carità, ma certamente in grado di stimolare dibattiti. La destra, almeno per ora, di culturale dice poco. Si limita a osannare persone che attaccano le minoranze, dice che l’uomo bianco cisgender diventerà esso stesso minoranza senza spiegarci quale sia il problema. Oppure ci state dicendo che le minoranze sono trattate peggio e vivono malissimo? Ops. La destra, soprattutto al Salone del Libro (come ha già fatto), parla di egemonia di sinistra più della sinistra stessa, attacca la comunità Lgbt+, gli stranieri e le culture diverse. Quindi, tolto l’odio verso qualcosa di estraneo resta poco. In compenso parla molto di sicurezza, cosa che la sinistra fa poco o nulla (sbagliando), un tema che tocca da vicino la maggior parte della popolazione. Può essere un tema culturale? Forse. Poi ci sarebbe la questione del centro fieristico da affrontare e risolvere, ma prima è meglio occupare qualche poltrona, come hanno fatto tutti finora.

Mi immagino un ipotetico Salone del Libro del futuro: un direttore bianco e di destra (donna o uomo non cambia, quella distinzione per la destra è già stata superata), gradito al governo di destra, parla a una platea per presentare quattro ospiti, tutti di destra, con relativi quattro libri pubblicati dai maggiori editori italiani, di cui si è parlato sui giornali, in tv e su numerosi siti web. Titolo dell’incontro: «L’egemonia di sinistra che impedisce alla destra di parlare».

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